Il Frosone è un passeriforme tipico degli ambienti boschivi e possiede un carattere molto elusivo e sospettoso. Dalle abitudini tipicamente arboree frequenta boschi misti, parchi e frutteti dove, durante la stagione invernale, si sofferma alla ricerca di nutrimento. Il suo piumaggio possiede tonalità contrastanti che danno alla sua livrea un tocco di bel cromatismo. Altra forma esclusiva di questo elegante passeriforme è posseduta dall’apice delle remiganti secondarie che si presentano simili a un petalo simmetrico ed elegante. Appartiene alla famiglia ornitica dei Fringillidi e come tutti i Fringillidi non nidifica in colonie, ma la coppia sceglie un proprio territorio dove posizionare il nido e allevare la prole. Solo durante il periodo della migrazione e durante l’inverno il Frosone si riunisce in gruppi più o meno numerosi. Durante il periodo riproduttivo alla femmina spettano quasi tutte le incombenze della vita famigliare; mentre è intenta all’allestimento del nido e successivamente alla cova, il maschio sorveglia attentamente il territorio, scacciando gli intrusi e procurando il cibo, costituito prevalentemente da insetti, che, poi, porge ai piccoli e alla compagna. Il suo nome deriva dal latino frisio derivante dal verbo frangere o spezzare mentre il suo nome scientifico Coccothraustes coccothrautes deriva da due vocaboli greci, ossia kokkos che vuol dire seme e thrauo che significa rompere. La caratteristica che contraddistingue tutte le specie che appartengono alla famiglia cui appartiene il Frosone è la struttura del becco che, anche se nelle altre specie risulta più minuto, ha forma conica potente e appuntita, in grado di spezzare semi molto duri, di cui sono molto ghiotti. Tra questi rappresentanti la specie in oggetto è quella che ha sviluppato al meglio l’arte di frantumare semi di notevole durezza, persino quelli delle olive. L’enorme becco di colore grigio azzurro durante l’epoca degli amori e carnicino nel resto delle stagioni, si è talmente sviluppato in potenza che anche la struttura muscolare del collo e delle mandibole si è adattata alla funzione, conferendogli una notevole robustezza strutturale: di conseguenza anche l’abitudine alimentare ne ha seguito l’adattamento. Questo fringillide si nutre di semi e di frutti, di cui mangia esclusivamente il seme, come noci, nocciole, bacche, germogli, piselli e coleotteri. Dei frutti di cui si nutre, come le ciliegie, le olive, le susine, il Frosone apprezza solamente il contenuto del seme, scartando la polpa succosa. Per meglio giungere allo scopo all’interno della mascella si è sviluppata una specifica placca rigida dentellata che gli permette di svolgere al meglio le operazioni di sbucciatura. Purtroppo, secondo alcuni ornitologi e studiosi del mondo animale, questa sua specializzazione ha causato e causa un limite alla sua diffusione poiché determina o per lo meno frena la propagazione della specie. (W.S.)
Recentemente in Canada un ornitologo ricercatore ha scoperto e studiato trecento casi di evoluzione alimentare adottati dagli uccelli selvatici. Innovazioni che a detta di molti etologi stanno cambiando le abitudini delle specie ornitiche mondiali. Ad esempio i gabbiani d’America settentrionale sono arrivati a nutrirsi di conigli selvatici durante i periodi di carestia. I gabbiani dopo averli catturati li uccidono lasciandoli precipitare da altezze considerevoli. In Europa la gazza si nutre di patate. Per capire dove sono poste, ha messo in atto una strategia: osserva il contadino durante la semina per capire dove sono state seminate le patate per poi successivamente dissotterrarle. Parlando sempre di corvidi l’ornitologo canadese ha studiato come il corvo imperiale s’ingegni a pattugliare le strade con alta frequenza di traffico cercando animali morti ai lati delle stesse. Sembra poi che alcune popolazioni di corvi conoscano le abitudini quotidiane degli automobilisti frequentando le strade negli orari più proficui per il reperimento del cibo secondo l’intensità del traffico, ed inoltre sono a conoscenza del periodo degli amori di anfibi e rettili, che spinti dal desiderio della ricerca dell’anima gemella, attraversano le vie trafficate finendo vittime dei veicoli. Nelle Isole Galapagos si è scoperto che alcune specie di uccelli rovistano nei cestini della spazzatura e nelle bocche dei leoni marini, grossi mammiferi acquatici. In Europa, il passero comune spulcia i radiatori degli autoveicoli che in estate si riempiono d’insetti. In Africa, infine, alcune specie di corvi gettano le noci di cocco sotto le ruote dei veicoli pesanti. In questo modo la gustosa polpa fuoriesce e dà modo agli uccelli di nutrirsene. Queste sono alcune delle abitudini che determinati uccelli hanno adottate per la loro sopravvivenza. Abitudini evolute che si stanno diffondendo a macchia d’olio sul pianeta, tanto che si parla da molto tempo di una cultura animale vera e propria, ossia l’imitazione dell’azione di un comportamento accompagnata da una spinta di cupidigia che inconsapevolmente ha dato origine a una strategia innovativa per la salvaguardia della specie stessa. (Walter Sassi)
Lo storno (Sturnus vulgaris) è considerato un passeriforme con notevoli capacità di apprendimento che lo hanno sempre contraddistinto e aiutato nella sopravvivenza. Possiede un eclettico carattere da esploratore. Secondo alcune ricerche, si è stimato che al mondo potrebbero esisterne circa seicento milioni di esemplari. Se ciò fosse confermato, non farebbe altro che testimoniare quanto il suo spirito di adattamento a ogni ambiente e circostanza l’abbia aiutato a espandersi sfruttando, tra l’altro, la vicinanza con l’uomo. Nell’Ottocento la specie è stata introdotta in Australia orientale per combattere gli insetti dannosi all’agricoltura ma, a sua volta, è divenuta un problema in quanto, insediatasi molto bene, è arrivata a contrastare la buona riuscita delle colture dei frutteti. In Italia, la sua presenza è osservata ovunque ma soprattutto, in questi ultimi decenni, nelle città, dove ha fatto registrare un notevole incremento di popolazione, tanto da creare problemi di carattere sanitario in prossimità dei propri dormitori. La sua adattabilità non riguarda solo l’ambiente ma anche la dieta, poiché si nutre di tutto. Onnivoro per antonomasia, si ciba di insetti, semi, avanzi di ogni tipo, bacche e frutti. Insomma, di quello che la stagione, con le sue opportunità, mette a disposizione. Considerato dai biologi un parassita interspecifico si è scoperto che alcune femmine amano far covare le proprie uova ad altri esemplari della stessa specie, riuscendo il più delle volte nell’intento. Ultimamente, alcuni ornitologi americani hanno scoperto che lo storno adotta un sistema efficace per combattere la presenza di acari che infestano il nido. Si tratta della costruzione del nido con erbe antiparassitarie, ossia con proprietà naturali che tengono lontani i parassiti i quali si insediano nei nidi e succhiano il sangue dei piccoli nati favorendone l’indebolimento fisico e la morte. Queste piante con proprietà antiparassitarie contengono elementi “volatili” che bloccano il normale sviluppo degli acari ma non sono tossici per gli uccelli. Una tattica di difesa messa in atto a salvaguardia della prosecuzione della specie. Gli ornitologi che hanno studiato questo comportamento sono giunti alla scoperta che in un nido costruito con erbe senza queste proprietà naturali si è rilevata una presenza di circa ottocentomila acari, al contrario di un nido costruito con erbe aventi proprietà antiparassitarie che contenevano un numero di acari cento volte inferiori. Si è inoltre scoperto che usano lo stesso tipo di pianta dove porre il nido. Questo comportamento è tramandato di generazione in generazione grazie al fenomeno di “reminiscenza del nido” in cui ogni esemplare è cresciuto. Queste abitudini scoperte dai ricercatori appartengono al fenomeno naturale dell’evoluzione che è in continuo sviluppo in una specie come lo storno con caratteristiche di forte adattabilità. (W.S.)
La scomparsa di un amico e di un collega di associazione è sempre un brutto accadimento. Nel caso di Ottavio Angelici, classe 1965, cacciatore e dirigente ANUU ternano da tanti anni, il trauma è stato ancor più forte, visto come si è spento, accasciandosi improvvisamente mentre era seduto a tavola, pronto a consumare il pasto con i suoi familiari. Persona attivissima nel sociale, conosciuto da molti proprio grazie a questo suo fervore, Ottavio è stato anche dirigente venatorio di spicco sia in provincia di Terni che a livello regionale dell’Umbria per lunghi anni operando instancabilmente in favore della caccia e dei cacciatori della sua terra. Nato e residente a Stroncone, borgo medievale arroccato su un colle circondato dagli uliveti, Ottavio da appassionato migratorista frequentemente dimostrava la propria competenza tecnica ma, in particolare, la grande umanità che lo contraddistingueva e che lo sollecitava ad adoperarsi per il prossimo. Mancherà a tanti. Gli amici dell’ANUU, a ogni livello associativo, ne serberanno per sempre il ricordo. Ciao Ottavio!
I NOMI DEGLI UCCELLI NEI DIALETTI DEL VENETO
Il popolo veneto riconosceva molte delle specie appartenenti all’avifauna che trovava in natura e nei mercati: lo si capisce dal fatto che sono ben 3.150 i nomi veneti appartenenti a 273 specie conosciute. Un tempo tutti gli uccelli venivano cacciati per essere consumati o per fornire differenti prodotti e farmaci, realizzati con l’impiego degli escrementi, degli occhi, del sangue e della pelle. Da questo impiego costante nasceva una conoscenza ampiamente diffusa, a volte trasformata in credenza o leggenda, che utilizzava nomi ormai in estinzione, attribuiti a tutte le specie note in passato. La conoscenza dei prodotti utilizzabili della natura era profonda, soprattutto tra il contadino, il boscaiolo, il pastore, il pescatore, il cacciatore ma senza escludere la massaia che faceva la spesa ogni giorno e tutti i ragazzini che esploravano assiduamente i dintorni delle loro abitazioni, in cerca di risorse soprattutto alimentari da portare alle loro famiglie. Quello che veniva commercializzato, aveva un suo nome dialettale specifico. Infatti, la quantità di nomi vernacolari attribuiti, di norma con precisione quasi scientifica, alle differenti specie animali è realmente straordinaria se la valutiamo oggi, e supera di gran lunga le conoscenze della quasi totalità dei cacciatori attuali. Antichi nomi comunque estinti o in via di estinzione sono stati sostituiti dalle trasformazioni dialettali che li hanno a volto snaturati. La mancanza di conoscenza delle abitudini di vita di molte specie animali ha portato il popolo interessato a generalizzare sulla classificazione della specie in sé chiamando così alcune specie a sé distinte con un unico nome. Il fatto, inoltre, che molte persone nel corso della storia hanno inventato o modificato le antiche denominazioni vernacolari rende necessario e urgente salvarle prima che vengano dimenticati del tutto. Grazie, comunque, a ricchi dizionari dialettali scritti nel passato a livello archeo-ornitologico si sono potuti recuperare molti nomi che riguardano l’avifauna in territorio italiano e in questo caso nel Veneto. Questo volume raccoglie l’analisi dei nomi degli uccelli appartenenti al 50% dell’avifauna italiana nei 7 territori provinciali che compongono il Veneto e alcune aree studiate in passato dagli ornitologi. Si è scoperto così che l’attribuzione del nome ad ogni specie per quanto riguarda il 25% del totale lo si deve alla voce ossia al canto e ai richiami. Il 14,8% rinvia alla colorazione dl piumaggio e ad alcune parti del corpo, il 13,3% alla descrizione dei comportamenti che erano ben noti agli osservatori dell’epoca. Il 12,7% è relativo alle dimensioni, il 9,6% alla descrizione delle parti del corpo che permettevano il riconoscimento grazie alle caratteristiche più vistose. In percentuale minore, pari all’8,7% i nomi sono stati creati in base agli ambienti nei quali si poteva incontrare la specie. Per il 7,7% il nome veniva attribuito alle somiglianze con le specie più conosciute, per il 3,3% alle abitudini alimentari, per il 1,6% ai periodi dell’anno nei quali le specie, migratrici o svernanti, si osservavano in un determinato territorio, per lo 0,9% alla descrizione di elementi collegati esclusivamente al prelievo venatorio di alcune specie e per lo 0,2% al poco valore alimentare di alcune specie. Questa ultima importante opera del Prof. Groppali che abbiamo la fortuna di consultare in modo quasi costante, ci ricorda le testimonianze della gente anziana del posto quando, interpellata, racconta in modo colorito le avventure naturalistiche vissute, accompagnate dalla grande varietà di nomi degli uccelli in dialetto veneto pronunciato con la sua caratteristica cadenza. Il volume è arricchito da immagini cinquecentesche accompagnate dalle antiche credenze e leggende sugli usi alimentari e curativi dell’avifauna. I nomi degli uccelli nei dialetti del Veneto di Riccardo Groppali (Piazza Editore – pagg. 224 – € 15,00 – www.piazzaeditore.it - info@piazzaeditore.it ) W.S.
La scomparsa di Pier Luigi Chierici, Direttore di “Migrazione & Caccia”
E così, con la discrezione che sempre lo ha contraddistinto, all’età di 84 anni anche il prof. Pier Luigi Chierici, il “nostro Direttore”, è andato avanti. Attivo nell’ANUU dal 1966, precisamente dal 27 febbraio di quell’anno, allorché partecipò alla prima, per lui, Assemblea nazionale a Bergamo, il prof. Chierici si avvicinò in punta di piedi all’avv. Gianni Bana (allora segretario nazionale dell’associazione) che, a breve, cogliendone le potenzialità e capacità nel campo della comunicazione, lo invitò a occuparsi del periodico associativo, testata che all’epoca era titolata Uccellagione e Piccola Caccia. Così Pier Luigi, dal 1968 e per cinquant’anni, fu ininterrottamente al timone di quello che successivamente divenne ed è tuttora Migrazione & Caccia. Alla fine degli anni ’60 del ‘900, sull’asse Bana – Chierici, improntato a vera amicizia, vennero anche gettate le basi per fondare a Bologna il Gruppo provinciale Uccellinai. Bologna, in quegli anni, rivestiva un posto importante nella gestione della caccia perché la Provincia si era assunta un ruolo di coordinamento fra le varie Amministrazioni pubbliche italiane e qui si organizzavano incontri e convegni sull’attività venatoria. Da allora, il rapporto di interdipendenza fra Pier Luigi e l’ANUU non si è più interrotto. Tutti noi lo ricordiamo alle Assemblee nazionali con il suo banchetto a latere del tavolo della Presidenza, intento a registrare gli interventi e le relazioni sia con la sua ineffabile penna, che con un piccolo registratore portatile, che poi avremmo ritrovati mirabilmente sintetizzati e argomentati sulla nostra rivista. Era una presenza costante, signorile, professionalmente inappuntabile, venuta meno solo negli ultimi anni per via dell’età e degli acciacchi che il passare del tempo inevitabilmente porta con sé. Dai primi anni ’90, oltre a Migrazione & Caccia, l’ANUU diede vita e corpo ad altre due pubblicazioni periodiche, la Lettera del Migratorista, rivolta a tutti i dirigenti e la Lettera del Legale, rivolta a tutti gli operatori del diritto e agli uffici delle pubbliche amministrazioni, entrambe supervisionate da Pier Luigi. Così come si occupò della redazione della storia associativa, contenuta nei volumi celebrativi pubblicati per i 40 anni e poi per i 50 anni dell’ANUU. Personalmente, potei godere del privilegio di collaborare a mia volta con lui nella redazione di tutto quanto l’ANUU pubblicava, una produzione formativa e informativa che riteniamo abbia avuto, per qualità e varietà, pochissimi eguali nel panorama venatorio nazionale ed europeo. Quello di Chierici è stato dunque un lungo percorso professionale all’insegna di amicizie vere e profonde. Come lui stesso ebbe a scrivere nel 2020, subito dopo la scomparsa dell’avv. Gianni: “Tutte le domeniche Giovanni Bana mi telefonava dal roccolo. Mi informava sul movimento degli uccelli, poi parlava degli incontri che aveva avuto ed io rispondevo rassicurandolo sulla preparazione del prossimo numero di “Migrazione & Caccia”. Anche domenica 15 marzo di quest’anno Gianni mi telefonò, parlammo a lungo dandoci appuntamento per la settimana successiva. Pochi giorni dopo, però, mi chiamò piangendo Roberta Cornalba e mi disse che l’avvocato ci aveva lasciati. Per me è stato un dolore straziante perché perdevo non solo lo storico Presidente, ma un sincero Amico”. Carissimo Pier Luigi, stimatissimo Direttore, oggi tocca a noi ricordarti in compagnia di Gianni Bana, Domenico Calearo, Dino Cardi, Domenico Grandini, Fernando Carrozzi, Aldo Paffetti, Vincenzo Grando, Guido Gelsomini e di tutti coloro che fecero tanto grande d’idee, proposte e attività un’associazione venatoria piccola solo nei numeri. Quest’anno leggeremo la tua ultima Letterina di Natale (che vale tutto l’anno, come sempre precisavi), chicca finale di un percorso umano e professionale di assoluto rilievo. Un abbraccio pieno di affetto.
Massimo Marracci
21 dicembre 2023
GRUPPO CACCIATRICI BRESCIANE ANUU
Il tutto nasce nel febbraio 2023, quando abbiamo ideato e concretizzato il gruppo “Cacciatrici bresciane ANUU” formato da sole donne, unite da una forte passione per l’attività venatoria, che vogliamo far conoscere sempre di più, soprattutto sotto il punto di vista di una “caccia al femminile”. Il nostro intento è quello di far capire che la caccia non è solo uscire con un fucile in spalle e uccidere animali selvatici, ma è una vera e propria passione, che viene tramandata di generazione in generazione. Abbiamo la fortuna di essere ragazze che praticano forme di caccia differenti e, tramite il racconto e la condivisione delle proprie esperienze, ognuna di noi riesce a meglio comprendere l’arte venatoria in tutte le sue sfaccettature. La caccia in forma vagante, non è altro che passare giornate in mezzo alla natura, in compagnia di amici e soprattutto dei propri amati cani che cercano con il loro fiuto di scovare il selvatico, perché la caccia è anche questo: vedere il proprio cane fiero di aver trovato il selvatico e gioire anche se non si torna a casa con la preda desiderata e tanto ricercata. Mentre per chi caccia da capanno, la vera soddisfazione è vedere i propri richiami vivi, che accuditi con fatica e dedizione tutto l’anno, riescono con il loro canto a far fermare i selvatici in migrazione e farli scendere sulla struttura dell’appostamento. A oggi siamo una quindicina che partecipano attivamente a questo gruppo e con il passare del tempo si sono instaurate nuove e forti amicizie che ci hanno quindi motivato ad iniziare nuovi progetti insieme. Il primo di questi, è stato indirizzato a un asilo nel paese di Sant’Agata sul Santerno (RA) in Emilia Romagna, costretto alla chiusura a causa della disastrosa alluvione avvenuta nel mese di maggio. Ci sembrava doveroso unire le nostre forze per permettere ai bambini di quel paese di tornare sorridere. Ad oggi abbiamo progettato e realizzato, con l’aiuto essenziale di “Toselli Irrigazione” e con il lavoro manuale di alcuni cacciatori di Concesio (BS), il nuovo impianto di irrigazione nel giardino dell’asilo, nello spazio dedicato ai giochi esterni. La prima idea che abbiamo avuto per concretizzare questa beneficenza è stata quella di mettere a disposizione la selvaggina da noi cacciata per organizzare una cena a scopo benefico e raccogliere offerte e donazioni. Abbiamo anche partecipato alla fiera della caccia di Gussago (BS), evento che rappresenta un piccolo ma grande capitolo di quella che è la storia venatoria nel Bresciano. La fiera si è svolta nelle giornate del 9 e 10 settembre e siamo riuscite, con l’aiuto di uno degli organizzatori, ad istituire un banchetto sul quale abbiamo esposto una serie di gadget che ci sono stati offerti da diversi enti noti in ambito venatorio. L’obiettivo della nostra partecipazione era quello di raccogliere ulteriori offerte, che sarebbero state poi aggiunte alla somma raccolta grazie alla “cinghialata”. Durante l‘evento però, ci siamo accorte che la nostra presenza aveva in realtà assunto un significato diverso, di condivisione e armonia. Abbiamo infatti avuto l’occasione di passare molto tempo fra di noi, rafforzando il nostro gruppo e mostrandoci agli altri insieme, con la nostra volontà e la nostra passione. Sono state tantissime le persone che anche solo con uno sguardo e un sorriso ci hanno rivolto la loro approvazione, dandoci l’impressione di essere viste come un simbolo positivo all’interno del mondo venatorio. Anche se non è mancato lo stupore negli occhi di qualcuno, nel vedere delle donne cacciatrici. Al di là del risultato ottenuto al termine della fiera di Gussago (BS), ciò che conta e che ci ha gratificato maggiormente, è stato l’aver provato a metterci in gioco nel nostro piccolo e fare qualcosa di diverso e, soprattutto, nuovo per tutte noi, dimostrando ancora una volta come una “semplice passione” possa unire. E anche se per molti è tuttora strano che vi siano donne praticanti la caccia, crediamo che insieme possiamo sfatare questo mito. Il nostro augurio è quindi quello di riuscire, in un futuro non troppo lontano, ad affermarci e a continuare a colorare sempre di più la disciplina venatoria, partendo, come sempre, dal sorriso di un bambino. (Cacciatrici bresciane ANUU)
A CACCIA DI RICORDI
Piccole storie vere inseguendo l’ordine naturale delle cose
di Marco Castellani