LA LEGGE
ULTIMA ORA
REGOLAMENTO SUL DIVIETO DI PIOMBO NELLE ZONE UMIDE. LA CABINA DI REGIA DEL MONDO VENATORIO SOLLECITA RISPOSTE CHIARE A TUTELA DEI CACCIATORI
(10/02/2023)
LEGGE 157: RIFLESSIONI DOPO LE MODIFICHE DELL’ART. 19
(25/01/2023)
Le recenti modifiche e integrazioni approvate dal Parlamento all’art. 19 della legge 157/92, apriranno con ogni probabilità nuovi scenari. Intanto, oltre al controllo “ordinario”, il nuovo comma ter ha introdotto il piano nazionale straordinario per il controllo faunistico, di durata quinquennale, che dovrà essere approvato con decreto del Ministro dell’Ambiente, di concerto con quello dell’Agricoltura, entro 120 giorni dall’entrata in vigore della norma (conto alla rovescia cominciato l’1 -gennaio scorso). Si tratta della presa d’atto, finalmente tradotta in norma di legge, della necessità di mettere mano a una situazione di profonda gravità cui finora la politica era parsa sorda o colpevolmente insensibile, probabilmente più per “timore” di feroci polemiche degli animalisti (i nuovi crociati della nostra epoca), che non per convinzione che cinghiali & company debbano essere lasciati proliferare senza freni. Certamente, per ottenere il piano quinquennale non basterà che stia scritto in legge, ma si dovrà redigerlo, approvarlo e, infine e soprattutto, attuarlo. Anche in tema di controllo ordinario, sono state però disposte novità di un certo peso: il contenimento faunistico è ammesso anche per la tutela della pubblica incolumità, può essere effettuato pure nelle aree urbane, viene affidato, tra gli altri, ai cacciatori abilitati iscritti agli ATC e ai CA territorialmente competenti e, finalmente, gli animali abbattuti possono essere destinati al consumo alimentare una volta accertata la loro negatività a patologie. Sul tema delle aree urbane, in particolare, nelle scorse settimane sono stati sollevati ad arte nuvoloni di polvere da parte di molti media, scagliatisi contro la “caccia selvaggia” in mezzo ai centri abitati, che sarebbe ora possibile grazie alle modifiche approvate dal Parlamento. Una grandissima idiozia, visto che il controllo della fauna selvatica non è caccia, bensì un’attività disposta sin dal 1992 e che nell’ultimo trentennio ha trovato frequente applicazione in molte Regioni e per diverse specie, ad esempio quelle definite opportuniste e invasive, sia autoctone che alloctone. Semmai, anzi, la sciocca propaganda cui abbiamo assistito contro la “caccia selvaggia” – che caccia non è – rischia di dare il via a qualche squilibrato o imbecille che, credendo vero che si possano cacciare liberamente i cinghiali per le vie di Roma o di Genova, si metta a inseguirli o appostarli con archi, balestre, arnesi vari o (Dio non voglia) con armi da fuoco. Dovessero mai accadere incidenti provocati da soggetti del genere, perché non addebitarne la responsabilità morale, intellettuale e politica a chi li ha sobillati, solo per calunniare i cacciatori (che nulla c’azzeccano)? Sarebbe un’accusa dirompente, naturalmente da depositarsi nelle sedi preposte, destinata a fare molto scalpore. Insomma, almeno per una buona volta, il polverone lo solleverebbero i cacciatori e le associazioni venatorie. A noi parrebbe una gran bella conquista. (Palumbus)
ALLEVAMENTO DI TURDIDI
IMPORTANTE SENTENZA DEL TRIBUNALE DI UDINE
(25/01/2023)
Con sentenza n. 1520/2022 del 15.09.22, il Tribunale di Udine (Giudice monocratico dott. Daniele Faleschini Barnaba, P.M. dott. Luca Spinazzè) ha mandato assolto A. M. (difensori gli avv. Adriano Garziera e Lino Roetta del Foro di Vicenza), imputato dell’accusa di essersi “impossessato illegalmente di fauna avicola, uccelli e numerosi nidiacei, specie appartenenti alla famiglia dei tordi, al fine di trarne profitto per sé o per altri e comunque destinati a divenire uccelli da richiamo ad uso venatorio…. Con le aggravanti di aver commesso il fatto con mezzi fraudolenti e su beni esposti per necessità alla pubblica fede …. avifauna, patrimonio indisponibile dello Stato, provento del reato di furto aggravato”, in quanto “il fatto non sussiste”. Nello specifico, gli uccelli erano 43 esemplari di tordo sassello (Turdus iliacus), tutti contrassegnati con anelli identificativi di un allevamento autorizzato sito in Montespertoli, rinvenuti l’1 giugno 2020 nel corso di una perquisizione da parte del Nucleo Investigativo dei Carabinieri Forestali di Pistoia all’interno dell’allevamento in provincia di Udine, regolarmente autorizzato ai fini amatoriali e del quale lo stesso imputato è titolare. In buona sostanza, veniva ascritta all’imputato l’accusa di aver prelevato illegalmente in natura i 43 nidiacei di tordo sassello o, in alternativa, l’accusa di acquisto o ricezione dei medesimi con la consapevolezza della loro provenienza illecita, trattandosi di fauna selvatica patrimonio indisponibile dello Stato. Venivano sentiti in aula il teste D. B., intestatario dell’allevamento autorizzato sito in Montespertoli, di provenienza dei nidiacei, nonché il dott. Giuseppe Micali, in qualità di consulente tecnico della difesa. In particolare, D. B. dichiarava di aver affidato all’imputato i 43 soggetti per lo svezzamento, in forza di regolare contratto (reperito nel corso della perquisizione), poiché nell’allevamento in Montespertoli D. B. medesimo, senza collaboratori, non era in grado di dispensare le cure adeguate e frequenti richieste dai numerosi pulcini. D. B. aveva anche consegnato a A. M. degli anelli identificativi in eccedenza, nel caso in cui alcuni di quelli alle zampe dei nidiacei si fossero deteriorati e, pertanto, avessero richiesto la sostituzione. Decisiva la perizia resa dal consulente tecnico della difesa, le cui osservazioni e argomentazioni rese nel corso della deposizione sono state interamente recepite dal Giudice, secondo il quale i tordi sasselli “assai improbabilmente potevano provenire da catture in natura, trattandosi di specie che si riproduce abitualmente allo stato selvatico nei paesi del Centro e Nord Europa, ove il tordo sassello migra nella stagione primaverile dopo avere svernato nell’Europa meridionale e in altri territori mediterranei; la stagione riproduttiva si svolge da maggio a luglio; l’età dei piccoli sottoposti a sequestro presso l’imputato, pari a 20-30 giorni, rendeva poco verosimile la nascita di essi in natura, considerandosi che la coppia abbisogna di 5-7 giorni per la costruzione del nido, che la deposizione e la cova durano circa due settimane e che i pulcini non possono essere sottratti ai genitori nei primi giorni di vita; inoltre, si devono considerare il tempo occorrente per il trasporto fino in Italia e le difficoltà di mantenere in vita avifauna in così tenera età durante viaggi di lunga durata.” In definitiva, gli elementi indiziari a carico dell’imputato, rimanevano privi di dimostrazione certa, non confortati da dati normativi (in relazione al presunto divieto di cessione di volatili fra allevatori) e non suffragati da sicure evidenze scientifiche. Neppure veniva acquisita prova dell’alterazione o manomissione degli anelli identificativi dei volatili. A. M. veniva così assolto dai reati ascrittigli perché il fatto non sussiste, a norma dell’art. 530, comma 2 del c.p.p.
CALENDARIO VENATORIO 22/23: RIFLESSIONI SULLA PRONUNCIA DEL CONSIGLIO DI STATO SULL’EMILIA-ROMAGNA
(10/11/2022)
Come ormai noto, lo scorso 21 ottobre con ordinanza n. 05027/2022, il Consiglio di Stato, sezione III, si è pronunciato sul ricorso presentato dalla Lac contro l’ordinanza cautelare con la quale il TAR di Bologna aveva rigettato il ricorso della medesima associazione per la sospensiva del calendario venatorio dell’Emilia-Romagna per la corrente stagione 2022/23. In buona sostanza, la ricorrente aveva proposto ricorso al TAR, con richiesta di sospensiva, contro il calendario venatorio regionale, basandolo soprattutto sui discostamenti dal parere ISPRA (date di chiusura della caccia a svariati migratori in gennaio e concessione delle due giornate aggiuntive settimanali di caccia da appostamento alla migratoria) e sulla presunta assenza della procedura di Vinca; il TAR con ordinanza cautelare aveva respinto in toto l’istanza, condannando inoltre la ricorrente alla rifusione di tutte le spese processuali; la ricorrente si era quindi rivolta, in appello, al Consiglio di Stato per la riforma dell’ordinanza del TAR, ovvero chiedendone l’annullamento o la modifica. In questi casi, ove il Consiglio di Stato accolga il ricorso cautelare di secondo grado (quello che abbiamo definito “appello”), cioè riformi la pronuncia del TAR, in sostanza sospende totalmente o parzialmente gli atti regionali: nello specifico, si trattava della Deliberazione di Giunta regionale n. 697 del 4.5.2022 relativa al calendario venatorio regionale 2022/2023. È quanto avvenuto: infatti, nel dispositivo dell’ordinanza del Consiglio di Stato si legge “in sede giurisdizionale (Sezione Terza) accoglie l’appello cautelare nei limiti indicati in parte motiva e, per l’effetto, in parziale riforma dell’ordinanza appellata, sospende, nei limiti suddetti, gli atti impugnati in primo grado. Spese del doppio grado di giudizio cautelare compensate”. Questo significa, partendo dall’ultima frase, che intanto le spese del doppio grado di giudizio – avanti al TAR prima e al Consiglio di Stato poi – sono state suddivise tra le parti: Regione Emilia-Romagna si paga le sue e la ricorrente altrettanto. Già questo è un “arretramento” rispetto all’ordinanza del TAR di Bologna, il quale, a nostra memoria molto probabilmente per la prima volta, aveva condannato l’associazione abolizionista a mettere mano al portafoglio per tutti. Solitamente infatti, in precedenti ordinanze cautelari di altri TAR che nel corso degli anni già respinsero, in tutto o in parte, i ricorsi di questo tipo contro i calendari venatori regionali, le spese venivano in ogni caso “prudentemente” compensate, con motivazione solitamente dovuta alla “particolare complessità” della materia e delle valutazioni richieste in fase di giudizio. Questa volta in cui, possiamo dire finalmente, un TAR aveva stabilito con chiarezza l’addebito di ogni spesa agli abrogazionisti (visto il rigetto in toto del loro ricorso), il Consiglio di Stato ha invece imposto una completa retromarcia, ritornando al ritornello delle spese compensate. Ovviamente, però, conta soprattutto la sospensione “nei limiti suddetti, (de)gli atti impugnati in primo grado”: ossia, confermato il rigetto del ricorso sulla parte relativa alla Vinca (esito comunque di grande importanza), il Consiglio di Stato ha conferito primaria rilevanza al famigerato “principio di precauzione” a suo tempo partorito dall’UE, seguendo il quale Ispra aveva indicato chiusure anticipate della caccia in gennaio per alcune specie migratrici in luogo del giorno 31 stabilito dalla legge 157, così come aveva dichiarato di non potersi esprimere compiutamente sulle due giornate aggiuntive settimanali di caccia da appostamento nel periodo 1 ottobre/30 novembre, stante una presunta insufficienza dei dati forniti dalla Regione a sostegno del proprio intento di prevederle. Insomma, in entrambi i casi, a fronte di reale o supposta carenza di dati e informazioni di natura tecnico-scientifica, per il Consiglio di Stato ha prevalso l’impostazione prudenziale suggerita da Ispra, in ossequio al principio di precauzione: quindi, anticipare la chiusura della stagione venatoria agli uccelli acquatici, ai Turdidi e alla beccaccia, nonché concedere una sola giornata settimanale di caccia in più (in luogo di due) per la migratoria da appostamento nel periodo ottobre/novembre. La Regione Emilia-Romagna ha immediatamente adeguato all’ordinanza la propria deliberazione dello scorso maggio, limitando a quattro giornate settimanali (invece che a cinque, come sempre avvenuto nelle precedenti stagioni venatorie), la caccia da appostamento alla migratoria e rimandando invece a un successivo atto l’anticipo della chiusura alle specie sopra citate nel mese di gennaio, ritenendo necessari ulteriori approfondimenti: anche perché gennaio è di là da venire e il non immediato adeguamento all’ordinanza del Consiglio di Stato non arreca in effetti alcun danno, al momento, alle popolazioni selvatiche, né fa venir meno l’efficacia dell’ordinanza stessa. Resta inoltre da vedere in quale data il TAR di Bologna, prendendo atto dell’ordinanza del Consiglio di Stato, fisserà l’udienza collegiale di merito, ove dovrà definitivamente pronunciarsi. Insomma, una situazione non semplice che abbiamo cercato di sintetizzare in breve spazio e che ha seminato sconcerto fra i cittadini-cacciatori, considerato anche che quelli emiliano-romagnoli non erano “abituati”, come purtroppo altri, a ordinanze e sospensioni di questo genere. Di sicuro c’è il fatto che l’ordinanza 05027/2022 ha infisso un grosso paletto in mezzo alla strada, già tortuosa e in salita, che le Regioni devono percorrere per approvare ed emanare i propri calendari venatori e ha fissato un principio che, riteniamo inevitabilmente, verrà utilizzato nei dibattimenti di merito che ancora attendono diverse Regioni (ad esempio, Lombardia e Toscana) da qui a fine anno sui vigenti calendari venatori. In chiusura, ci limitiamo a osservare che se tutta questa fanatica pervicacia contro i provvedimenti della pubblica amministrazione relativi alla caccia, fosse profusa (basterebbe in piccola percentuale) anche nei confronti degli atti relativi a settori e attività realmente e sempre impattanti contro la natura, la biodiversità e il territorio – come quelli in tema di urbanizzazione, infrastrutture, poli industriali, cementificazione, agricoltura intensiva, ecc. – probabilmente vivremmo in un mondo più sano e accogliente per animali e umani: ma si sa, anche i dirigenti e i sostenitori delle associazioni animaliste, come i legali che ne rappresentano gli interessi nei tribunali, usano l’auto e l’aereo, non rinunciano alle vacanze per ogni dove nel mondo, acquistano presso la grande distribuzione, fanno ampio uso delle produzioni delle multinazionali, consumano grandi quantità di energia. Tanto c’è la caccia come “impero del male” da combattere. Amen. (Palumbus)
CONDANNATO CHI OFFENDE I CACCIATORI
(08/07/2022)
Il diritto di critica non equivale a diritto di offesa. È quanto ha stabilito il Tribunale di Roma nei confronti di Paolo Mocavero, leader 100x100 Animalisti, nella causa civile promossa dai presidenti di Federcaccia, Enalcaccia e ANUUMigratoristi a seguito delle sue espressioni ingiuriose nei confronti dei cacciatori
Roma, 8 luglio 2022 – Con l’ordinanza resa ieri dal Tribunale di Roma, il noto leader animalista Paolo Mocavero è stato condannato al risarcimento dei danni per le affermazioni ingiuriose e lesive da lui rivolte ai cacciatori nel corso della trasmissione radiofonica “La Zanzara” trasmessa da Radio 24 nel marzo del 2020. Nei suoi confronti avevano promosso causa civile i presidenti di Federcaccia Massimo Buconi, di Enalcaccia Lamberto Cardia e di ANUUMigratoristi Marco Castellani, patrocinati dall’avvocato Alberto M. Bruni
L’ordinanza è assai articolata e, pur riconoscendo il diritto di informazione e di critica (anche con toni coloriti), tuttavia afferma che mai possono tollerarsi aggressioni verbali che si trasformano in veri e propri attacchi che travalicano il tema controverso e assumono la forma del turpiloquio nei confronti di singoli cittadini ovvero di categorie quali i cacciatori, il cui profilo morale è tutelato dalle Associazioni Venatorie.
L’ordinanza del Tribunale civile di Roma assume molta importanza perché – finalmente – perviene a riconoscere la tutela della dignità di chi legittimamente esercita l’attività venatoria e, insieme, delle Associazioni Venatorie che si adoperano in ogni sede in tal senso.
Oltre a questo assume anche la valenza di un vero e proprio monito nei confronti di tutti coloro che denigrano i cacciatori travalicando i limiti della corretta informazione e del diritto di critica permettendosi non consentite aggressioni verbali accompagnate da offese e volgarità.
E questo vale anche per i responsabili di testate giornalistiche e di trasmissioni televisive e radiofoniche che ospitano i più accesi denigratori della caccia ai quali vengono consentite – senza oltretutto contraddittorio – aberranti e lesive esternazioni.
Forti di questo precedente d’ora in avanti le Associazioni Venatorie potranno agire in giudizio a tutela dell’immagine dei propri associati ogni qual volta – e capita purtroppo sempre più spesso – la caccia e chi la pratica vengano fatti oggetto di commenti offensivi.
Comunicato congiunto Uffici Stampa FIdC – Enalcaccia - ANUUMigratoristi
RINNOVO LICENZA DI CACCIA NEGATO:
SOCCOMBENTI LA QUESTURA DI COSENZA E IL MINISTERO DELL’INTERNO
(28/03/2022)
La Questura di Cosenza e il Ministero dell’Interno sono risultati soccombenti in un contenzioso amministrativo, prima al TAR della Calabria e successivamente al Consiglio di Stato, nei confronti di A.C., il quale aveva impugnato il decreto di rigetto dell’istanza di rinnovo del porto di fucile a uso caccia emesso dal Questore di Cosenza, che lo aveva motivato con la frequentazione, da parte dello stesso A.C., di un soggetto controindicato in quanto “gravato da pregiudizi di polizia”. Si trattava nella fattispecie di un cittadino, precedentemente oggetto di denuncia per rissa e tuttavia in possesso di regolare porto di fucile a uso caccia, che evidentemente la medesima autorità di Polizia non aveva ritenuto necessario di revocargli o sospendergli, nemmeno nel corso delle indagini e accertamenti del caso. A.C., in possesso di licenza di caccia sin dai primi anni ’90, agente di Polizia in pensione e presidente di un circolo di cacciatori, ha pertanto deciso di impugnare il decreto di diniego presso il TAR della Calabria, per eccesso di potere per difetto di presupposti, illogicità della motivazione e difetto di istruttoria. In sede cautelare, il TAR ha ritenuto di fissare celermente l’udienza di merito, ove si è costituito in giudizio anche il Ministero dell’Interno. Il TAR si è infine pronunciato, il 6 ottobre 2021, con sentenza di annullamento del decreto del Questore e di condanna del Ministero al pagamento delle spese di lite al ricorrente. In buona sostanza, il TAR ha ritenuto che “l’apprezzamento discrezionale contenuto nel provvedimento del Questore non è esente dal dedotto vizio di eccesso di potere. Invero, in fase di ponderazione comparativa dei contrapposti interessi, la p.a. intimata ha omesso di valutare adeguatamente una serie di concomitanti elementi e cioè che: il ricorrente è un agente della Polizia di Stato in quiescenza, il quale ha detenuto l’arma di servizio senza ricevere rilievi nel corso dei suoi trentacinque anni di carriera; nella sua qualità di Presidente di un’associazione di cacciatori, l’esponente ha preteso che ciascun aderente fosse munito della licenza d’armi uso caccia - rilasciata al controindicato il (omissis) dalla Questura di Cosenza - la quale postula una prognosi di affidabilità basata sul giudizio operato dalla competente amministrazione; la frequentazione con (omissis) risulta limitata al solo episodio dell’1.09.2019, quindi occasionale e giustificata dall’inizio in quel giorno dell’attività venatoria, dall’appartenenza al medesimo circolo, nonché dalla circostanza che tale soggetto sia a sua volta titolare di licenza di porto di fucile per uso caccia.” La sentenza veniva poi impugnata in appello al Consiglio di Stato dal Ministero dell’Interno, ove tuttavia la pronuncia del TAR veniva confermata con il rigetto del ricorso ministeriale e l’ulteriore condanna dell’amministrazione alla rifusione delle spese al ricorrente. Per i dettagli, vedere TAR Calabria, Sezione Prima, sentenza n. 01888 del 6.10.2021.
PERCENTUALI DI TASP A TUTELA DELLA FAUNA SELVATICA:
IL TAR LOMBARDIA SOLLEVA L’ECCEZIONE DI COSTITUZIONALITA’
(28/03/2022)
Il TAR Lombardia, Sezione I di Milano, a seguito di ricorso presentato dalla LAC contro alcuni atti del Consiglio regionale e della Giunta regionale della Lombardia, con ordinanza n. 00673 del 25 marzo 2022, ha dichiarato “rilevante e non manifestamente infondata” la questione di legittimità costituzionale dell’art. 43, comma 3 della l.r. 26/93 e dell’art. 10, comma 3 della legge 157/92 (di conseguenza, anche dell’art. 13, comma 3, lett. a) della l.r. 26/93), disponendo la sospensione del giudizio e l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, per la pronuncia di merito. Nella fattispecie, la norma regionale impugnata dispone che i valichi montani (nel raggio di mille metri dai quali, come noto, ai sensi della legge statale, vige il divieto di attività venatoria) debbono essere individuati esclusivamente nel comparto A (maggior tutela) della zona faunistica delle Alpi; la norma statale impugnata, invece, prescrive le percentuali di territorio agro-silvo-pastorale da destinare a tutela della fauna selvatica, che in zona Alpi devono essere comprese tra il 10 e il 20% e nel restante territorio tra il 20 e il 30%, ivi inclusi i territori nei quali l’attività venatoria sia vietata anche per effetto di altre leggi o disposizioni. La lunga e complessa vicenda giudiziaria, della quale questa ordinanza è al momento l’ultimo approdo, risale addirittura a un contenzioso amministrativo in allora innescato contro una deliberazione del Consiglio provinciale di Brescia del marzo 2009, con la quale vennero individuati e istituiti sul territorio provinciale i valichi montani con relativo divieto di esercizio venatorio. Dopo più pronunce del TAR Lombardia, del Consiglio di Stato (ultima nel 2020) e infine, a seguito dell’adozione di ulteriori atti da parte della Giunta e del Consiglio regionale nel corso del 2021, si perviene ora a questa ordinanza che va assai oltre il merito delle norme regionali impugnate, rimettendo alla Corte la stessa legittimità di uno dei cardini della pianificazione faunistico-venatoria per tutte le Regioni. Non sfugge come l’esito di questo giudizio sarà vitale per il futuro della pianificazione e, dunque, per l’eventualità stessa che le Regioni non debbano più rispettare superfici massime di TASP da destinare a tutela della fauna selvatica, con la conseguenza di relegare la caccia in aree del tutto irrilevanti, improduttive e di nessun interesse dal punto di vista faunistico. Si tratterà inoltre del primo caso in cui la Corte sarà chiamata a pronunciarsi anche rispetto ai nuovi contenuti dell’art. 9 della Costituzione, secondo i quali, dopo recentissima modifica “La Repubblica …. tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali.”
BUONE NOTIZIE DAL CONSIGLIO DI STATO: IMPORTANTE SENTENZA SUL RINNOVO DEL PORTO D’ARMI USO CACCIA
(24/11/2021)
CALENDARIO VENATORIO LOMBARDIA:
UNA SENTENZA POSITIVA CON RAMMARICO
(07/01/2023)
Un antico proverbio, attribuito a Socrate, recita “Tanto tuonò che piovve”, e così, dopo lunga attesa, il Tar Milano si è pronunciato in via definitiva sul ricorso della Lac contro il calendario venatorio approvato da Regione Lombardia. Lo sappiamo oramai tutti: il Tribunale Amministrativo ha integralmente respinto il ricorso proposto dalla ricorrente, con accoglimento dell’eccezione sollevata sia dalle Associazioni venatorie che si erano costituite (AnuuMigratoristi, Federcaccia ed Enalcaccia insieme, da sola Libera Caccia), che naturalmente dai legali della Regione Lombardia. Il ricorso è quindi stato dichiarato inammissibile, nonché improcedibile sui motivi aggiunti presentati successivamente dalla ricorrente. La sentenza non ha neppure scrutinato nel merito le censure avversarie, non avendo la Lac impugnato uno dei provvedimenti che, nel loro insieme, formano il calendario venatorio. Il TAR, come si diceva, ha altresì dichiarato improcedibile l’impugnativa con la quale la ricorrente ha contestato il “provvedimento ponte“, con cui Regione aveva autorizzato la caccia del Tordo bottaccio dal 18/9 al 30/9 essendosi ormai esauriti gli effetti di tale atto.
Il calendario venatorio 2022/2023 risulta, pertanto, valido ed efficace in tutte le sue parti, comprese le date di chiusura dei prelievi previsti nel mese di gennaio.
Con soddisfazione accogliamo questa sentenza, che fortemente abbiamo sostenuto, rimarcando in più passaggi le motivazioni che hanno portato a tutto questo, e alla luce di altre sentenze favorevoli, possiamo sperare in un futuro cambio di tendenza rispetto agli scorsi anni.
Resta però il rammarico che la sospensiva inizialmente concessa, fermando l’attività venatoria nel mese di settembre, fosse viziata da un ricorso infondato e che tuttavia, di fatto, ha penalizzato dei cittadini-cacciatori che legalmente, invece, avevano il diritto di esercitare la loro passione.
La domanda che sorge spontanea è: se da subito i legali, e qui ringraziamo l’avv. Pietro Balletti che con AnuuMigratorsiti l’aveva evidenziato, avevano immediatamente sollevato l’eccezione di inammissibilità, perché prima di recepire una richiesta di sospensiva, il TAR non ha ritenuto di valutare la correttezza dell’impugnativa? Il principio di precauzione, sempre applicato e talvolta cassato in alcune sedi giudiziarie, prevarica la correttezza degli atti?
Aldilà della base giuridico-legale, sta di fatto che ancora una volta si sono ignorati i molteplici aspetti importanti dell’attività venatoria, da quello ambientale e di presidio del territorio, soprattutto in un anno meteorologico come quello appena passato, all’aspetto culturale ed educativo, arrivando fino a quello economico. E ancora, ci sarebbe piaciuto capire la fondatezza delle motivazioni che hanno spinto l’associazione anticaccia a impugnare gli atti regionali e al Tribunale Amministrativo le relative sospensive.
Motivazioni che spesso erano contradditorie, prive di fondamento, sia giuridico che scientifico: per questo, si sperava che finalmente si potesse fare chiarezza sulle effettive motivazioni della decisione di sospendere il prelievo del Tordo bottaccio a settembre e se Regione Lombardia avesse, oppure no, correttamente motivato questo passaggio del calendario.
Per quanto riguarda, poi, il carniere stagionale della Beccaccia, la ricorrente non aveva sollevato alcuna censura sul punto; pertanto, la stessa pronuncia del TAR era già viziata, essendosi espressa su un aspetto che nessuno aveva contestato.
Certo, se avessimo ascoltato taluni dirigenti venatori, che già avevano intonato il “de profundis” per la sentenza subito dopo l’udienza del 29 novembre, saremmo qui a piangerci addosso, con mille recriminazioni, ipotizzando quali complotti. Per fortuna non è andata così, grazie soprattutto a chi ancora è convinto, con i fatti, di far valere le ragioni, sia che siano giuridiche o scientifiche, in difesa di un corretto valore dell’attività venatoria.
TRIBUNALE GROSSETO: NO AL RISARCIMENTO IN FAVORE DELLA LAC
(10/11/2021)