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LA LEGGE

ULTIMA ORA

Quanto sappiamo veramente delle armi? 
a cura dell’avv. Francesco Occhiuto


(23/07/2024)

Mi accingo a scrivere queste righe con la consapevolezza di chi sa molto bene che l’argomento che si affronterà è tutt’altro che scontato e quantomai insidioso, soprattutto sul versante delle mutevoli evoluzioni giurisprudenziali che il legislatore pretende di farci ingoiare senza troppo preoccuparsi dei risvolti pratici e interpretativi che di volta in volta ne seguono.
Noi seguaci di Diana, instancabili appassionati e forieri di buone novelle, quanto sappiamo dunque veramente delle armi? Ecco, questo articolo si propone di fornire sull’argomento una sintesi da annoverare in un quadro legislativo generale, senza presunzione alcuna di esaustiva completezza, ponendo l’accento su alcuni degli aspetti più salienti di una materia ricca di interpretazioni (non di rado fuorvianti) e insidie celate anche dietro provvedimenti normativi ambigui.
Sotto il profilo strettamente tecnico, per arma deve intendersi qualunque strumento atto a offendere, per sua destinazione naturale (armi proprie) o per le modalità di impiego (armi improprie). Le "armi proprie" sono quelle da fuoco (pistola, fucile, etc.), da getto (lancia, arco, etc.), da taglio o da punta (spada, pugnale, etc.), batteriologiche o chimiche (in ragione degli aggressivi in esse contenuti), i congegni esplodenti, dirompenti o incendiari (bombe a mano, bombe incendiarie, etc.). Nella categoria delle "armi improprie", invece, rientrano le mazze, i tubi, le catene, i bulloni, le sfere metalliche,etc.

La definizione giuridica, invece, è quella che si desume dal combinato disposto delle norme del Cod. Pen. (artt. 585 e 704) e del T.U.L.P.S. (Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza) (art.30), della legislazione vigente in materia e in particolare della legge 18 aprile 1975, n. 110, e successive modificazioni e integrazioni.
Sotto questo aspetto è possibile operare la seguente distinzione:
ai sensi dell'art. 585 del c.p., agli effetti della Legge penale, per armi si intendono:
  • quelle da sparo e tutte le altre la cui destinazione naturale è l'offesa della persona;
  • tutti gli strumenti atti a offendere, dei quali è dalla legge vietato il porto in modo assoluto, ovvero senza giustificato motivo;
  • le materie esplodenti e i gas asfissianti o accecanti, in quanto espressamente assimilati.
Agli effetti delle contravvenzioni concernenti la prevenzione dei delitti contro la vita e l'incolumità individuale (artt. 695-703 c.p.), ai sensi dell'art. 704 del c.p., per armi si intendono:
  • quelle indicate nel n.1 cpv. dell'art. 585 c.p.;
  • le bombe, qualsiasi macchina o involucro contenente materie esplodenti e i gas asfissianti o accecanti.
  • Ai sensi dell'art. 30 del T.U.L.P.S. per armi si intendono:
  • le armi proprie, cioè quelle da sparo e tutte le altre la cui destinazione naturale è l'offesa della persona;
  • le bombe, qualsiasi macchina o involucro contenente materie esplodenti ovvero gas asfissianti o accecanti.
Varie sono poi le classificazioni sui diversi tipi di arma.
Ai sensi dell'art. 1, 1° comma della legge 110/75, "sono da guerra le armi di ogni specie che per la loro spiccata potenzialità d'offesa sono o possono essere destinate al moderno armamento delle truppe nazionali o estere per l'impiego bellico, nonché le bombe di qualsiasi tipo o parti di esse, gli aggressivi chimici, i congegni bellici micidiali di qualunque natura, le bottiglie e gli involucri esplosivi o incendiari".
"Sono invece armi tipo guerra quelle che pur non rientrando tra le armi da guerra possono utilizzare lo stesso munizionamento delle armi da guerra o sono predisposte al funzionamento automatico per l'esecuzione del tiro a raffica o presentano delle caratteristiche balistiche o di impiego comuni con le armi da guerra" (art. 1, 2° comma, legge 110/75).
Rientrano tra le armi comuni da sparo ai sensi dell'art. 2, 1° comma della legge 110/75:
  • i fucili anche semiautomatici con una o più canne ad anima liscia;
  • i fucili con due canne ad anima rigata, a caricamento successivo con azione manuale;
  • i fucili con due o tre canne miste, ad anima liscia o rigata, a caricamento successivo con azione manuale;
  • i fucili, le carabine e i moschetti a una canna ad anima rigata, anche se predisposti per il funzionamento automatico;
  • i fucili e le carabine che impiegano munizioni a percussione anulare, purché non a funzionamento automatico;
  • le rivoltelle a rotazione;
  • le pistole a funzionamento semiautomatico;
  • le repliche di armi antiche ad avancarica di modelli anteriori al 1890.
Sono altresì armi comuni da sparo i fucili e le carabine che, pur potendosi prestare all'utilizzazione del munizionamento da guerra, presentino specifiche caratteristiche per l'effettivo impiego per uso di caccia o sportivo, abbiano limitato volume di fuoco e siano destinate a utilizzare munizioni di tipo diverso da quelle militari. Sono infine considerate armi comuni da sparo quelle denominate "da bersaglio da sala", o ad emissione di gas, nonché le armi ad aria compressa sia lunghe sia corte e gli strumenti lanciarazzi, salvo che si tratti di armi destinate alla pesca ovvero di armi e strumenti per i quali la Commissione consultiva di cui all'art. 6, comma 1 della legge 110/75 escluda, in relazione alle rispettive caratteristiche, l'attitudine a recare offesa alla persona.
Si considerano armi per uso sportivo (legge 25 marzo 1986, n. 85):
  • quelle riconosciute dal Ministero dell'Interno, su conforme parere della Commissione consultiva centrale delle armi;
  • quelle, sia lunghe sia corte che, per le loro caratteristiche strutturali e meccaniche, si prestano esclusivamente allo specifico impiego nelle attività sportive (art. 2).
A norma dell'art. 4, comma 1 della legge 110/75 sono definite armi comuni non da sparo:
  • le armi bianche: strumenti da punta o da taglio (pugnali, baionette, coltelli, spade);
  • gli strumenti per i quali sussiste un divieto assoluto di porto (mazze ferrate, bastoni ferrati, sfollagente, noccoliere);
  • bastoni animati.
Un'altra distinzione è quella tra armi antiche, artistiche e rare:
  • antiche (art. 2 lett. b, comma 1 della legge 110/75 ed art. 10, comma 1 della stessa legge) sono quelle ad avancarica e quelle fabbricate prima del 1890;
  • artistiche sono quelle che posseggono un particolare pregio estetico per la loro fattura originale, o che provengono da artefici particolarmente noti;
  • armi rare sono quelle armi classificabili come pezzi unici o reperibili in pochi esemplari (art. 6, d.m. 14 aprile 1982);
  • armi storiche sono quelle legate ad un'epoca determinata, a personaggi o ad eventi di rilevanza storico-culturale (art. 6, d.m. 14 aprile 1982).
Chi possiede un titolo valido, stando agli aggiornamenti normativi del D.Lgs. 104 del 2018 che recepisce in Italia la nuova direttiva europea armi (Dir. 853/2017), può detenere:
  • 3 armi classificate come armi comuni da sparo;
  • 12 armi classificate come sportive;
  • un numero illimitato di armi da Caccia.
Considerando sempre gli aggiornamenti introdotti dal D.Lgs.104 del 2018, per quanto riguarda le armi classificate come sportive, i limiti dei relativi caricatori saranno di 20 colpi per le armi corte, mentre le lunghe fino a un massimo di 10 colpi.
Nel caso in cui si volessero detenere più armi rispetto ai limiti numerici previsti per questo tipo di licenza, sarà necessario ottenere una licenza da collezionista.
Una volta entrati in possesso di armi e munizioni, la legge prevede un massimo di 72 ore entro le quali dovrà esserne fatta denuncia ai competenti Uffici di Pubblica Sicurezza o ai Carabinieri. 
Una licenza di porto di fucile uso caccia consente di detenere, oltre alle armi nelle quantità sopra elencate, anche i relativi munizionamenti e anche polvere da sparo per ricarica. Sarà, però, necessario denunciare il possesso delle munizioni secondo i seguenti termini:
  • quando si possiedono più di 1.000 munizioni spezzate o a pallini o pallettoni;
  • cartucce per pistola o revolver. Il limite massimo è di 200 cartucce;
  • munizioni a palla unica per fucile a canna rigata. Limite massimo 1500 cartucce che dovranno essere tutte denunciate. Le variazioni in termini di diminuzione non dovranno essere denunciate, quelle in aumento sì.
Il limite di 200 e 1500 colpi non si riferisce alle munizioni denunciate, ma a quelle concretamente detenute. Se, ad esempio, un tiratore ha 200 cartucce in denuncia e quelle 200 cartucce sono presenti nel suo armadietto, egli non potrà ricaricarne ad esempio altre 20. Nemmeno se le spara entro le 72 ore. Nel caso di controlli da parte delle Forze dell’Ordine, potrà essere sanzionato.
In tutto questo quadro, non può non essere annoverata una tematica di grande interesse per tutti, vale a dire “l’obbligo di diligenza nella custodia delle armi” come previsto dall’art. 20 della legge 18 Aprile 1975 n.110. Già! Ma ci siamo mai interrogati fino in fondo sul significato vero di questo “obbligo di diligenza” e cosa comporta effettivamente?
Lo scrivente che di mestiere fa l’avvocato ha assistito, non di rado, nell’applicazione della norma suddetta, a interpretazioni forzate, estremiste e veri e propri voli pindarici da parte di chi crede di conoscere alla perfezione tutto e poi, invece, finisce puntualmente con l’essere smentito a suon di provvedimenti e sentenze da parte della Autorità Giudiziaria adita.
Per rispondere alla domanda suddetta, richiamo una eloquente sentenza della Suprema Corte di Cassazione della I Sezione la n.1868 del 21 Gennaio 2000 che ha fatto scuola sul punto: “l’obbligo di diligenza nella custodia delle armi come previsto dall’art. 20 della legge 18 Aprile 1975 n.110, quando non si tratti di soggetti che esercitino professionalmente attività in materia di armi ed esplosivi, deve ritenersi adempiuto alla sola condizione che risultino adottate le cautele che, nelle specifiche situazioni di fatto, posso esigersi da una persona di normale prudenza, secondo il criterio dell’ “id quod plerumque accidit.”  (Sempre in questo senso, cfr., fra le molte, Cass. Sez. 1, n. 6827 del 13 dicembre 2012, dep. 2013, Arconte, Rv. 254703; Cass. Sez. 1, n. 47299 del 29 novembre 2011, Gennari, Rv. 251407).
Nella specie, in applicazione di tale principio, la Suprema Corte ha cassato senza rinvio la decisione con la quale era stata ritenuta la penale responsabilità di un soggetto, il quale aveva tenuto le armi nella propria abitazione, munita soltanto dei normali mezzi di chiusura, in un armadio e in una valigia posta sotto il detto mobile.
In definitiva, occorre essere attenti e scrupolosi nel custodire le armi ma senza farsi ossessionare da comportamenti e condotte che vanno oltre la normale diligenza del bonus pater familias.
Vorrei chiudere, per chi ha avuto la pazienza di leggere fino a qui questo articolo, con una frase di Piero Calamandrei La libertà è condizione ineliminabile della legalità; dove non vi è libertà non può esservi legalità.”
Per informazioni: f.occhiuto@gmail.com
 
 
 
 

LETTERA APERTA AL MINISTRO ON. FRANCESCO LOLLOBRIGIDA


(08/07/2024)

LETTERA APERTA ALL'ON. FRANCESCO BRUZZONE


(03/07/2023)

 

I BAMBINI DELL’ASILO, LA COMMISSIONE UE
E LE PROCEDURE D’INFRAZIONE


(27/02/2024)

L’organizzazione pre-scolastica per bambini dai 3 ai 6 anni, un tempo definita “scuola materna”, è oggi detta “scuola dell’infanzia”. Nella vulgata quotidiana, però, resiste e ci piace molto il vocabolo “asilo”, limpido e bello, che vogliamo utilizzare in quanto ci sembra il più idoneo a descrivere le reazioni piagnucolose di una buona fetta del mondo ambientalista e protezionista nazionale, rispetto alle vicende della caccia in Italia. L’appiglio ci viene dalla notizia dell’avvio di una procedura d’infrazione da parte della Commissione UE contro l’Italia, sia per quanto disposto dall’art. 19ter della legge 157/92 sul controllo della fauna selvatica, che per quanto attiene l’arcinota problematica dell’attuazione del regolamento REACH sull’impiego e la detenzione delle munizioni da caccia in piombo nelle zone umide. Su queste vicende, si innesta altresì la procedura EU Pilot relativa ai calendari venatori, ovvero alla presunta violazione di uno degli assunti di base della Direttiva Uccelli secondo cui l’esercizio dell’attività venatoria agli uccelli selvatici è consentito se non confligge con i periodi di fine riproduzione e di avvio della migrazione prenuziale delle specie. Il susseguirsi delle vicende degli ultimi mesi è noto, pertanto inutile ripercorrerlo. Quello che accadrà è difficile da ipotizzare, anche perché nelle stanze e corridoi dell’elefantiaco apparato burocratico di Bruxelles, può veramente succedere tutto. Qui, però, ci interessano i presupposti su cui si fondano questi contenziosi tra la Commissione e i singoli Stati membri, poiché basta il reclamo di una presunta violazione del diritto comunitario che pervenga alla Commissione stessa da parte di un singolo cittadino europeo, per innescare l’effetto cascata. Figurarsi dunque se il reclamo perviene da ben organizzate associazioni di portatori d’interesse. Il coinvolgimento della Commissione è infatti una prassi ampiamente utilizzata dalle associazioni ambientaliste nostrane, alla quale esse ricorrono ogni qualvolta si scoprano o si intuiscano impotenti o poco efficaci nel contrastare scelte legislative o amministrative sulla fauna selvatica che non condividono. Ecco allora che, come bimbi dell’asilo, invocano “mamma Commissione” la quale chiaramente si attiva a norma di regolamenti ma, propugnatrice dell’approccio green senza sconti che ha guidato le scelte europee sino almeno alla recentissima rivolta degli agricoltori, ai nostri occhi rivela una certa prontezza e sensibilità alle segnalazioni e istanze di matrice ambientalista. Evidentemente, c’è chi è più bravo di altri nelle attività di lobbying – peraltro legittime – e dunque nel farsi ascoltare dai padroni del vapore. L’esito attuale è che l’Italia si troverà in un contenzioso comunitario solo perché a fine dicembre 2022 il Parlamento ha finalmente integrato e aggiornato le vetuste disposizioni statali relative al controllo e contenimento della fauna selvatica che vigevano sin dal 1992, rischiando altresì un ulteriore contenzioso per l’eventuale sovrapposizione di una decade tra la chiusura della stagione venatoria e quanto riportato nei KC 2021 per un numero assai limitato di migratori, nonché perché si cacciano specie ritenute in stato di conservazione non favorevole senza relativi piani di gestione nazionali. Su quest’ultimo punto a parer nostro si sfiorerebbe il ridicolo, considerato che l’Italia ha comunque già adottato i Piani di gestione per quattro di queste specie in difficoltà (allodola, tortora selvatica, coturnice e moriglione), mentre non ci risulta che altri Paesi membri, in cui le medesime specie vengono cacciate senza alcun piano, siano oggetto dell’attenzione della Commissione. Sulla durata della stagione di caccia all’avifauna c’è poco da dire, se non, come è chiarissimo a tutti, che la pervicace opposizione delle associazioni protezioniste si placherà (forse) solo quando l’attività venatoria in Italia sarà formalmente ristretta al periodo 1° ottobre – 31 dicembre: un indirizzo che, da alcuni anni, traspare palesemente anche dai pareri Ispra sui calendari venatori regionali. La partita sullo scacchiere UE è quindi aperta e le prossime elezioni europee, che si terranno tra il 6 e il 9 giugno (i giorni 8 e 9 in Italia), saranno uno snodo fondamentale perché dal nuovo Parlamento verrà eletto il nuovo Presidente della Commissione e, a seguire, verranno nominati tutti i Commissari. Certo, non cambieranno gli uffici, ma senza dubbio un rinnovamento a livello politico non potrà che riorientare le scelte complessive, che è quanto auspichiamo per tornare a rapportarci fra adulti perseguendo un “quieto vivere” in Europa, lungi dalla costante denigrazione del proprio Paese, fondato su correttezza istituzionale, ragionevolezza e obiettività tecnica.
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