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LA LEGGE

ULTIMA ORA

I BAMBINI DELL’ASILO, LA COMMISSIONE UE
E LE PROCEDURE D’INFRAZIONE






(27/02/2024)

L’organizzazione pre-scolastica per bambini dai 3 ai 6 anni, un tempo definita “scuola materna”, è oggi detta “scuola dell’infanzia”. Nella vulgata quotidiana, però, resiste e ci piace molto il vocabolo “asilo”, limpido e bello, che vogliamo utilizzare in quanto ci sembra il più idoneo a descrivere le reazioni piagnucolose di una buona fetta del mondo ambientalista e protezionista nazionale, rispetto alle vicende della caccia in Italia. L’appiglio ci viene dalla notizia dell’avvio di una procedura d’infrazione da parte della Commissione UE contro l’Italia, sia per quanto disposto dall’art. 19ter della legge 157/92 sul controllo della fauna selvatica, che per quanto attiene l’arcinota problematica dell’attuazione del regolamento REACH sull’impiego e la detenzione delle munizioni da caccia in piombo nelle zone umide. Su queste vicende, si innesta altresì la procedura EU Pilot relativa ai calendari venatori, ovvero alla presunta violazione di uno degli assunti di base della Direttiva Uccelli secondo cui l’esercizio dell’attività venatoria agli uccelli selvatici è consentito se non confligge con i periodi di fine riproduzione e di avvio della migrazione prenuziale delle specie. Il susseguirsi delle vicende degli ultimi mesi è noto, pertanto inutile ripercorrerlo. Quello che accadrà è difficile da ipotizzare, anche perché nelle stanze e corridoi dell’elefantiaco apparato burocratico di Bruxelles, può veramente succedere tutto. Qui, però, ci interessano i presupposti su cui si fondano questi contenziosi tra la Commissione e i singoli Stati membri, poiché basta il reclamo di una presunta violazione del diritto comunitario che pervenga alla Commissione stessa da parte di un singolo cittadino europeo, per innescare l’effetto cascata. Figurarsi dunque se il reclamo perviene da ben organizzate associazioni di portatori d’interesse. Il coinvolgimento della Commissione è infatti una prassi ampiamente utilizzata dalle associazioni ambientaliste nostrane, alla quale esse ricorrono ogni qualvolta si scoprano o si intuiscano impotenti o poco efficaci nel contrastare scelte legislative o amministrative sulla fauna selvatica che non condividono. Ecco allora che, come bimbi dell’asilo, invocano “mamma Commissione” la quale chiaramente si attiva a norma di regolamenti ma, propugnatrice dell’approccio green senza sconti che ha guidato le scelte europee sino almeno alla recentissima rivolta degli agricoltori, ai nostri occhi rivela una certa prontezza e sensibilità alle segnalazioni e istanze di matrice ambientalista. Evidentemente, c’è chi è più bravo di altri nelle attività di lobbying – peraltro legittime – e dunque nel farsi ascoltare dai padroni del vapore. L’esito attuale è che l’Italia si troverà in un contenzioso comunitario solo perché a fine dicembre 2022 il Parlamento ha finalmente integrato e aggiornato le vetuste disposizioni statali relative al controllo e contenimento della fauna selvatica che vigevano sin dal 1992, rischiando altresì un ulteriore contenzioso per l’eventuale sovrapposizione di una decade tra la chiusura della stagione venatoria e quanto riportato nei KC 2021 per un numero assai limitato di migratori, nonché perché si cacciano specie ritenute in stato di conservazione non favorevole senza relativi piani di gestione nazionali. Su quest’ultimo punto a parer nostro si sfiorerebbe il ridicolo, considerato che l’Italia ha comunque già adottato i Piani di gestione per quattro di queste specie in difficoltà (allodola, tortora selvatica, coturnice e moriglione), mentre non ci risulta che altri Paesi membri, in cui le medesime specie vengono cacciate senza alcun piano, siano oggetto dell’attenzione della Commissione. Sulla durata della stagione di caccia all’avifauna c’è poco da dire, se non, come è chiarissimo a tutti, che la pervicace opposizione delle associazioni protezioniste si placherà (forse) solo quando l’attività venatoria in Italia sarà formalmente ristretta al periodo 1° ottobre – 31 dicembre: un indirizzo che, da alcuni anni, traspare palesemente anche dai pareri Ispra sui calendari venatori regionali. La partita sullo scacchiere UE è quindi aperta e le prossime elezioni europee, che si terranno tra il 6 e il 9 giugno (i giorni 8 e 9 in Italia), saranno uno snodo fondamentale perché dal nuovo Parlamento verrà eletto il nuovo Presidente della Commissione e, a seguire, verranno nominati tutti i Commissari. Certo, non cambieranno gli uffici, ma senza dubbio un rinnovamento a livello politico non potrà che riorientare le scelte complessive, che è quanto auspichiamo per tornare a rapportarci fra adulti perseguendo un “quieto vivere” in Europa, lungi dalla costante denigrazione del proprio Paese, fondato su correttezza istituzionale, ragionevolezza e obiettività tecnica.
Palumbus

ATC RC 1 e 2: IL TAR "BOCCIA" LA CITTA' METROLITANA. Procedimento di nomina da rifare!





(11/12/2023)

INAFFIDABILITA’ NELL’UTILIZZO DELLE ARMI




(22/11/2023)

Chi consente che un minorenne vada a caccia con il suo fucile perde il porto d’armi a prescindere dal modo in cui si chiude il procedimento penale. Lo ha stabilito il Tar della Liguria con due sentenze distinte (66/2023 e 67/2023) con le quali ha respinto il ricorso contro le decisioni di Questura e Prefettura. È vero che il processo penale s’era concluso con l’estinzione del reato per oblazione, ma la giustizia amministrativa segue regole più rigide e quanto accaduto è di per sé sufficiente a giustificare la dichiarazione d’inaffidabilità nell’utilizzo delle armi.

CACCIA CON PORTO D’ARMI NON VALIDO:
VIETATO IL RINNOVO



(22/11/2023)

Anche se è scaduto soltanto un mese prima, andare a caccia con il porto d’armi non più valido è un comportamento che porta dritto al divieto di detenzione disposto dall’articolo 39 del Tulps. Lo ha chiarito la terza sezione del Consiglio di Stato (sentenza 804/2023), respingendo il ricorso di un cacciatore che s’era opposto alla decisione del Prefetto e del Tar della sua regione. Non conta l’assoluzione disposta in sede penale per la particolare tenuità del fatto: l’amministrazione è infatti chiamata a una valutazione più stringente che, oltre alla violazione della legge, tenga presenti tutti gli eventuali sintomi d’inaffidabilità. Il divieto previsto dall’art. 39 del Tulps è finalizzato non a sanzionare e reprimere reati, ma a prevenirli e a tutelare l’ordine pubblico; pertanto, giustifica il divieto anche il minimo elemento utile a incrinare ragionevolmente l’idea di un uso appropriato delle armi. Il cacciatore è stato considerato inaffidabile con una valutazione “legittimante ancorata” alla realtà e che giustifica la prognosi di un possibile abuso delle armi. Non è infine rilevante il fatto che “il mancato rinnovo della licenza sarebbe frutto di una mera dimenticanza”: già di per sé andare a caccia senza titolo valido comporta un abuso dell’arma che può “ragionevolmente essere posto a fondamento” del divieto.

ZONE UMIDE E MUNIZIONI IN PIOMBO:
OGGI, QUALCHE CERTEZZA IN PIU’


(12/10/23)

Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della legge 9.10.2023, n. 136 “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 10 agosto 2023, n. 104, recante disposizioni urgenti a tutela degli utenti, in materia di attività economiche e finanziarie e investimenti strategici”, il Parlamento ha messo finalmente alcuni punti fissi in relazione alla problematica dell’utilizzo delle munizioni in piombo per l’attività di tiro (caccia inclusa, ovviamente) nelle zone umide. La questione aveva inevitabilmente e legittimamente sollevato moltissima polvere alla vigilia dell’avvio della stagione venatoria 23/24, allorquando ci si è trovati in una situazione di caos giuridico che ha rischiato seriamente di minare la passione di tanti cacciatori, alle prese con un’incertezza inaccettabile per un cittadino corretto che esiga regole chiare, sia per poterle rispettare che per avere contezza delle conseguenze in caso di involontaria inosservanza. Caos oltretutto evitabile, perché da due anni si sapeva che il regolamento comunitario del 2021 fonte del divieto, sarebbe entrato in vigore dal febbraio 2023 e, quindi, con ampio tempo a disposizione della politica (non sfruttato, fatta salva una circolare interministeriale sostanzialmente inefficace) per correre ai ripari. A oggi, pertanto, dopo l’entrata in vigore della legge 136/2023, le zone umide interessate dal divieto appartengono alle seguenti categorie: a) zone umide d’importanza internazionale riconosciute e inserite nell’elenco della Convenzione di Ramsar, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 13 marzo 1976, n. 448; b) zone umide ricadenti nei siti di interesse comunitario (SIC) o in zone di protezione speciale (ZPS); c) zone umide ricadenti all’interno di riserve naturali e oasi di protezione istituite a livello nazionale e regionale. Tralasciando per gli aspetti venatori la tipologia c), in quanto il trovarsi all’interno di aree naturali protette o di istituti a tutela della fauna, fa sì che in tali zone viga automaticamente il divieto di caccia (ma non di altre attività di tiro, come ad esempio il controllo della fauna selvatica), i passi avanti decisivi rispetto al recente passato, sono stati due: la circoscrizione del divieto di uso-porto-trasporto delle munizioni tradizionali alle sole zone umide comprese in siti Ramsar e nei siti della rete Natura 2000, nonché la determinazione di una sanzione amministrativa per l’infrazione al divieto, con importi minimo/massimo diremmo più che ragionevoli. Il primo aspetto è molto rilevante, in quanto con il regolamento comunitario sic et simpliciter, il divieto del munizionamento in piombo veniva applicato in tutte le zone umide sul territorio nazionale, indipendentemente dalla loro ubicazione. Il secondo aspetto è altrettanto importante per la sottrazione della natura della sanzione dalla possibile sfera del penale. Allora, tutto risolto e a gonfie vele? No. Sospendendo ogni valutazione su quanto la legge “terrà” rispetto a un prevedibile intervento della Commissione UE, perché ora è comunque legge della Repubblica, il motivo dell’incompletezza risiede nel fatto che non è stato chiarito quali debbano intendersi “zone umide” ai fini dell’applicabilità del divieto: cioè, ora sappiamo dove debbano trovarsi, ma non cosa siano. Il fiume è zona umida? Il torrente è zona umida? Il canale di irrigazione è zona umida? La pozza di abbeverata è zona umida? La risaia è zona umida? Necessitiamo con la massima urgenza di riferimenti certi e certificati di cosa sia la “zona umida”, che oggi sembrano mancare. Insomma, si ripropone lo stesso problema del mese di settembre 2023, con la differenza – comunque assai significativa – che allora l’indeterminatezza andava superata per tutto il territorio, oggi invece sarà sufficiente limitarsi, in buona sostanza, a quanto sta dentro i siti di Natura 2000. Auspichiamo che le istituzioni (Stato? Regioni?) provvedano al più presto, possibilmente con omogeneità, per evitare che di qua e di là dei confini di due regioni limitrofe, ci si debba comportare in maniera differente per ottemperare alla medesima norma. Insomma, la politica, che si è incamminata nella giusta direzione, non pensi di aver esaurito il proprio compito. Qualche certezza in più l’abbiamo, è innegabile, ma non tutta la certezza occorrente, soprattutto in un Paese come l’Italia nel quale la caccia continua a essere strumentalmente additata, da non pochi, come una delle principali cause di degrado ambientale e di perdita di biodiversità. Buon lavoro a chi lo deve fare.
(Palumbus)

Le modifiche sulla caccia alla 157/92 sono state pubblicate in Gazzetta Ufficiale 


(10/10/23)




                                        

I PASSI IN AVANTI SONO PER LA CACCIA
E NON PER LE ASSOCIAZIONI VENATORIE


(09/10/23)

Si, qualcosa sta finalmente cambiando nell’ atteggiamento della politica, almeno delle forze politiche al momento al Governo del Paese, nei riguardi della caccia e dei cacciatori italiani bistrattati da troppi anni. Grazie a questo nuovo atteggiamento sono giunti importanti segnali positivi che, contrariamente a quanto sostengono gli anti caccia per partito preso, non sono dei favori ingiustificati alla lobby dei cacciatori, ma atti di giustizia per tutti i cittadini, compresi i cacciatori, che vantano dei diritti di certezza, di considerazione e di tutela nell’esercizio di attività lecite e normate come, in questo caso, la caccia. Giusto, quindi, apprezzare questo momento e ringraziare tutti coloro che hanno consentito il raggiungimento di questi primi importanti risultati. Ma non bisogna cadere nella tentazione di rivendicare primogeniture o ruoli particolari svolti da questa o quell’altra Associazione. Tutte le Associazioni hanno svolto il proprio ruolo, anche in passato quando, purtroppo, i pochi risultati davvero utili sono sempre stati rari esempi di attenzione istituzionale. Dobbiamo con coraggio e coerenza riconoscere che questi nuovi risultati non arrivano perché c’è stata qualche Associazione particolarmente brava o ispirata, ma piuttosto perché gli attuali decisori politici hanno compreso la realtà di una situazione ingiusta ed insostenibile anche giuridicamente. A mio modo di vedere se un merito c’è è quello di aver utilizzato al meglio possibile uno strumento di coordinamento unitario, cioè la Cabina di Regia nazionale, che ha saputo fare sintesi e presentare al meglio le istanze di tutto il mondo venatorio non solo in materia di calendari, ricorsi al TAR o sul problema piombo, ma anche su molte altre questioni importanti presentando dossier tecnico-giuridici molto puntuali realizzati con il contributo di tutti. Abbiamo ancora moltissimo lavoro da fare per


recuperare diritti e opportunità che ci sono state negate. I cacciatori lo sanno benissimo ed è inutile oltre che offensivo pensare di abbindolarli. Io sono un cacciatore e desidero vedere ancora molti altri segnali positivi per la mia passione. I passi in avanti devono essere per la caccia e per i cacciatori italiani. Se ce ne saranno, conseguentemente ce ne saranno per le singole Associazioni che, ripeto un mio vecchio pensiero, non sono il fine ma devono essere un mezzo per raggiungere l’unico vero fine, ossia non far morire la caccia e le sue meravigliose tradizioni. Sarebbe stupido dividersi ulteriormente proprio adesso che occorre, invece, la massima coesione per continuare a dialogare in modo propositivo ed intelligente con una Politica che, finalmente, ha dato prova di saper anche ascoltare e tradurre in pratica le indicazioni corrette e sostenibili che gli giungono nell’interesse non solo della caccia e dei cacciatori italiani, ma anche dell’economia, dell’ambiente e della società tutta. Grazie, quindi, a tutti coloro che hanno contribuito al raggiungimento dei primi importanti obiettivi per la caccia italiana, con l’auspicio che presto ne seguano molti altri già ben identificati e portati a loro conoscenza dalla Cabina di Regia nazionale.
Il Presidente
Marco Castellani                                                          

BRUZZONE (LEGA) – STOP VANDALISMO ED ECOTERRORISMO A DANNO DEI CACCIATORI


(20/09/2023)

Trasferire le risorse economiche a carico dello Stato, impegnate per le numerose missioni speciali del reparto SOARDA, effettuate nelle province di Brescia e Bergamo, ad altri obiettivi finalizzati alla tutela dei cittadini cacciatori, che legittimamente svolgono l’attività di caccia da appostamento, contro le azioni vandaliche ed eco-terroristiche effettuate dalle sedicenti associazioni animaliste. È questa la richiesta al Ministro della Difesa ed al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare contenuta nell’interrogazione depositata in data odierna dal deputato della Lega Francesco Bruzzone.*
“Dopo anni di controllo assiduo all’attività dei cacciatori nelle province di Brescia e di Bergamo, in particolare i cacciatori migratoristi e campanisti che fanno la caccia tradizionale con l’uso di richiami vivi, è arrivato il momento di fare il punto della situazione e di chiedere un cambio di passo.
In primis, da un punto di vista strettamente economico, questa operazione speciale, con l’invio di gruppi speciali di carabinieri forestali, ha sicuramente inciso in modo importante sul bilancio dello Stato, apportando costi aggiuntivi rispetto al normale lavoro. Tale attività è già svolta costantemente dai Carabinieri Forestali dislocati sul territorio, dagli agenti dei corpi delle polizie provinciali e da guardie volontarie, incluse le guardie appartenenti ad associazioni di protezione ambientale e animale, che con un controllo capillare del territorio effettuano numerose ispezioni notturne e diurne, accertando gli illeciti penali.
In secondo luogo stiamo assistendo ad un preoccupante diffondersi di un odio nei confronti dei cacciatori campanisti bergamaschi e bresciani che, ricordiamo, svolgono un’attività legittima, fatta da strutture autorizzate, con appostamenti fissi e detenzione legittima di richiami vivi. Quest’odio si sta trasformando in azioni di vandalismo, per non dire un vero e proprio terrorismo nei confronti dei cacciatori, a volte in modo diretto con aggressioni o offese alle persone, ma ancora di più con atti vandalici violentissimi che hanno portato alla distruzione delle strutture e degli appostamenti autorizzati e per i quali i cacciatori pagano una apposita tassa.
È a mio avviso arrivato il momento di tutelare i cittadini cacciatori regolari che si vedono aggredire verbalmente o fisicamente e che vedono demolire i loro impianti e mandare in fumo il lavoro, le costruzioni arboree a volte artistiche, spesso tramandate da generazioni.
L’interrogazione è finalizzata a sollevare questo problema e a chiedere che lo Stato si impegni per tutelare i cacciatori vittime di questo odio animal-ambientalista estremista che produce reati nelle proprietà private e che quasi sempre restano impuniti.
Occorre sostituire le ispezioni accanite verso i cacciatori e  cominciare a “cacciare” chi delinque trasformando l’odio animalista e antivenatorio in azioni illegittime e di violenza nei confronti delle persone o delle loro strutture.” – Così in una nota il deputato della Lega Francesco Bruzzone, primo firmatario della interrogazione.

ALLEVAMENTO DI TURDIDI
IMPORTANTE SENTENZA DEL TRIBUNALE DI UDINE


(25/01/2023)

Con sentenza n. 1520/2022 del 15.09.22, il Tribunale di Udine (Giudice monocratico dott. Daniele Faleschini Barnaba, P.M. dott. Luca Spinazzè) ha mandato assolto A. M. (difensori gli avv. Adriano Garziera e Lino Roetta del Foro di Vicenza), imputato dell’accusa di essersi “impossessato illegalmente di fauna avicola, uccelli e numerosi nidiacei, specie appartenenti alla famiglia dei tordi, al fine di trarne profitto per sé o per altri e comunque destinati a divenire uccelli da richiamo ad uso venatorio…. Con le aggravanti di aver commesso il fatto con mezzi fraudolenti e su beni esposti per necessità alla pubblica fede …. avifauna, patrimonio indisponibile dello Stato, provento del reato di furto aggravato”, in quanto “il fatto non sussiste”. Nello specifico, gli uccelli erano 43 esemplari di tordo sassello (Turdus iliacus), tutti contrassegnati con anelli identificativi di un allevamento autorizzato sito in Montespertoli, rinvenuti l’1 giugno 2020 nel corso di una perquisizione da parte del Nucleo Investigativo dei Carabinieri Forestali di Pistoia all’interno dell’allevamento in provincia di Udine, regolarmente autorizzato ai fini amatoriali e del quale lo stesso imputato è titolare. In buona sostanza, veniva ascritta all’imputato l’accusa di aver prelevato illegalmente in natura i 43 nidiacei di tordo sassello o, in alternativa, l’accusa di acquisto o ricezione dei medesimi con la consapevolezza della loro provenienza illecita, trattandosi di fauna selvatica patrimonio indisponibile dello Stato. Venivano sentiti in aula il teste D. B., intestatario dell’allevamento autorizzato sito in Montespertoli, di provenienza dei nidiacei, nonché il dott. Giuseppe Micali, in qualità di consulente tecnico della difesa. In particolare, D. B. dichiarava di aver affidato all’imputato i 43 soggetti per lo svezzamento, in forza di regolare contratto (reperito nel corso della perquisizione), poiché nell’allevamento in Montespertoli D. B. medesimo, senza collaboratori, non era in grado di dispensare le cure adeguate e frequenti richieste dai numerosi pulcini. D. B. aveva anche consegnato a A. M. degli anelli identificativi in eccedenza, nel caso in cui alcuni di quelli alle zampe dei nidiacei si fossero deteriorati e, pertanto, avessero richiesto la sostituzione. Decisiva la perizia resa dal consulente tecnico della difesa, le cui osservazioni e argomentazioni rese nel corso della deposizione sono state interamente recepite dal Giudice, secondo il quale i tordi sasselli “assai improbabilmente potevano provenire da catture in natura, trattandosi di specie che si riproduce abitualmente allo stato selvatico nei paesi del Centro e Nord Europa, ove il tordo sassello migra nella stagione primaverile dopo avere svernato nell’Europa meridionale e in altri territori mediterranei; la stagione riproduttiva si svolge da maggio a luglio; l’età dei piccoli sottoposti a sequestro presso l’imputato, pari a 20-30 giorni, rendeva poco verosimile la nascita di essi in natura, considerandosi che la coppia abbisogna di 5-7 giorni per la costruzione del nido, che la deposizione e la cova durano circa due settimane e che i pulcini non possono essere sottratti ai genitori nei primi giorni di vita; inoltre, si devono considerare il tempo occorrente per il trasporto fino in Italia e le difficoltà di mantenere in vita avifauna in così tenera età durante viaggi di lunga durata.” In definitiva, gli elementi indiziari a carico dell’imputato, rimanevano privi di dimostrazione certa, non confortati da dati normativi (in relazione al presunto divieto di cessione di volatili fra allevatori) e non suffragati da sicure evidenze scientifiche. Neppure veniva acquisita prova dell’alterazione o manomissione degli anelli identificativi dei volatili. A. M. veniva così assolto dai reati ascrittigli perché il fatto non sussiste, a norma dell’art. 530, comma 2 del c.p.p.

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